Borgo | In nome deriva dal latino vicus, ossia gruppo di case, villaggio.
La Storia
970, Vico si affaccia per la prima volta alla storia dopo la cacciata dei Saraceni dal Gargano, ad opera di mercenari slavi al soldo dei Bizantini; il capo degli slavi ottiene come ricompensa la proprietà delle terre liberate e ne raduna gli abitanti in un vicus, villaggio.
XI sec., conquistato il Gargano, i Normanni costruiscono a Vico il primo castello.
1167, è menzionata in un breve papale la chiesa di San Pietro in Vico, celebre già al tempo dei Normanni.
1240, il castello di Vico viene ampliato dall’imperatore Federico II di Svevia.
1292, Teodisco de Cuneo fornisce Vico di un superbo sistema di difesa, costituito da una cinta muraria
guarnita di una ventina di torri.1317, un documento in latino attesta l’esistenza di un “trappetum in terre Vici” destinato a soppiantare la pratica domestica della spremitura delle olive.
1386, si ha notizia della prima Confraternita di Vico, istituita da San Vincenzo Ferreri: è la “Confraternita di Santa Maria dello Spedale” presso l’omonimo santuario fuori le mura.
1495, Ferdinando II d’Aragona dona il feudo di Vico a Galeazzo Caracciolo, distintosi nella cacciata dei Turchi da Otranto.
1529, Vico viene presa a cannonate dagli Spagnoli.
XVII sec., il feudo passa agli Spinelli; l’arrivo di numerosi coloni dalla Dalmazia porta all’ingrandimento del borgo con la nascita del quartiere del Casale.
Un centro storico da salvare
A prima vista, Vico sembra il parente povero degli altri centri del Gargano, come Peschici e Vieste, noti al turismo di massa, belli e ripuliti. Assomiglia a qualcosa di pittoresco e decadente, come le rovine della classicità nei quadri dei vedutisti del Settecento. Ma mentre gli altri luoghi non sono più una novità, Vico si presenta con grandi potenzialità, purtroppo ancora inespresse, come dimostra il progetto di albergo diffuso di Gae Aulenti. La fortuna di Vico, se si può dir così, è stata quella dell’abbandono del nucleo antico – i tre quartieri medievali di Civita, Terra e Casale – a partire da metà Ottocento, che ha consentito la conservazione quasi integrale del linguaggio architettonico, pur con ovvie situazioni di degrado.
Quello che s’impone ora, è il recupero – per forza graduale – di questo immenso e meraviglioso patrimonio, modulato su tipologie di un’architettura spontanea e ricorrente. Dal Cinquecento la sapienza costruttiva degli abitanti, ponendo la stalla al piano terra e l’abitazione al primo piano, si concentra sullo spazio domestico della cucina “monacesca”, focolaio e punto d’incontro della famiglia. Le case, poi, si abbelliscono e si distinguono con i comignoli (le più ricche hanno lo stemma di famiglia in pietra sulla canna fumaria) e fanno precedere i loro ingressi dai “pieddi”, i caratteristici scalini che si notano ovunque. Certo è che i portoni, i portali, le inferriate, gli stemmi e tutto quello che è trionfo della pietra e del ferro e del legno, avrebbe bisogno di essere sottratto all’incuria, come quei capitelli ingrigiti e sconnessi che sembrano piegarsi sotto gli archi e il peso della storia.
Speriamo che la classificazione tra i “Borghi più belli d’Italia” serva da stimolo per recuperare e riadattare questo presepe. Intanto, godiamoci la nostra passeggiata nel cuore antico di Vico, alla ricerca non solo delle emergenze architettoniche più significative ma anche degli spazi sotterranei: quello dei trappeti, ricavati sotto le abitazioni come luoghi di molitura delle olive, testimoni muti delle fatiche della scomparsa civiltà contadina; e quello dei morti, come la necropoli di Monte Tabor e il cimitero monumentale di San Pietro, risalente al 1792.
Tra le molte chiese, segnaliamo la Matrice con il suo portale in pietra e gli undici altari interni, fondata su un’altura ai cui fianchi si assiepano le case dei rioni Civita e Casale; quella di San Giuseppe nel quartiere Terra (o Borgo Vecchio) che custodisce la statua lignea del Cristo Morto portata in processione il Venerdì Santo dalle Confraternite, le vere depositarie dell’anima del paese e dei suoi riti; la chiesa di San Marco risalente al XIII secolo; e fuori le mura, la chiesa di Santa Maria degli Angeli, con il Convento dei Cappuccini, ricca di opere d’arte; e infine la chiesa di San Pietro sul Monte Tabor, dalla lunga storia.
Quanto all’edilizia civile, spiccano le mura che in vari tratti sono inglobate nelle abitazioni (la cerchia originaria di Teodisco da Cuneo è del 1292); il Castello con la sua forma quadrangolare in cui restano tracce dei vari passaggi di proprietà e di stile, dai Normanni agli Aragonesi; e il Palazzo della Bella, una curiosa riproposta neogotica di inizio Novecento dell’architettura fiorentina di Palazzo Vecchio, al quale dichiaratamente si ispira. Un ultimo suggerimento: guardate la bellezza dei portali in pietra e dei vecchi portoni di legno. Questa era la dignità dell’abitare.
Il prodotto del borgo
Il prodotto più celebre e rinomato, è senza dubbio l'ottimo olio extra vergine d'oliva, ottenuto dalla paziente lavorazione di olive provenienti dal suggestivo paesaggio di antichi uliveti che partono dalle alture della Foresta Umbra per declinare dolcemente sul mare.
I celebri agrumi di Vico, un tempo perno della sua economia e ora, dopo un periodo di abbandono, di nuovo sul mercato. E’ facile, passeggiando per il borgo, poter acquistare le arance direttamente dal contadino.
Il piatto del borgo
Specialità del Gargano è il magliatello, cioè la carne di capretto. Quanto al pesce, è apprezzato l’abbinamento con le verdure, nel tradizionale rapporto tra mare e campagna. Tra i dolci, tipico di Vico è l'ostia piena, un croccante di frutta, mandorle e miele.
Fuente: Club I borghi più belli d'Italia, 28 de Octubre de 2010