Castel di Tora, Un presepe che galleggia sulle acque

Borgo | Castel di Tora sino al 1864 era Castel Vecchio (Castrum Vetus) e gli abitanti si chiamano ancora “castelvecchiesi”. Il nuovo nome si rifà all’antica e famosa (ma d’incerta collocazione) città sabina di Thora, poi pagus (villaggio) romano.

 

La Storia

1035, è menzionato per la prima volta nei documenti dell’Abbazia di Farfa il Castrum Vetus de Ophiano, sorto all’epoca degli incastellamenti intorno al Mille.

Dopo un periodo di sottomissione all’Abbazia di Farfa, che lo ebbe in dono dai signori longobardi, Castelvecchio passò, con Castrum Antoni (l’attuale Antuni) e Collepiccolo, sotto la signoria dei Brancaleoni e quindi dei Mareri, ai quali fu confiscato nel 1241 da Federico II di Svevia e riconsegnato nel 1250.

1440, il feudo di Castelvecchio, annesso allo Stato Pontificio, passa agli Orsini e dal 1558 al 1570 agli Estouteville, per poi ritornare agli Orsini sino al 1634, quando è ceduto ai Borghese, ai quali resta sino all’abolizione napoleonica dei feudi. Antuni, invece, appartiene a varie famiglie e nel 1800 ai Principi del Drago. Nel 1944 è bombardato dagli americani e nel 1950 abbandonato dagli abitanti. Va in rovina anche il palazzo dei Drago, con i suoi saloni affrescati, le scalinate in pietra, le 365 finestre.

1870, dopo l’Unità d’Italia Castel di Tora (il nuovo nome assunto da Castelvecchio nel 1864) è aggregato alla provincia di Perugia, cioè all’Umbria. Passa con il Lazio nel 1920 sotto la Provincia di Roma e nel 1927 sotto quella Provincia di Rieti appena creata.

1935-38, la costruzione della diga e del lago artificiale del Turano, che sommerge i terreni più fertili della valle, causa una forte emigrazione della popolazione, che si riduce dai 1000 abitanti di allora ai 300 di oggi. Cambia anche l’economia locale, prima legata all’agricoltura e alla pastorizia, e ora orientata verso il commercio e il turismo.

Il genius loci

Pietra e acqua contornate dal verde di pascoli e boschi: questo è Castel di Tora. Mezzo spopolato dall’emigrazione, con accanto la città morta di Antuni, sembra custodire nei vuoti e nei silenzi dei suoi vicoli il segreto delle sue origini, mitiche come tutte le “vere” origini, perché vengono da un’Atlantide di casa nostra, sprofondata nei pensieri prima che nel tempo: la città sabina di Thyra, o Thora.

Dove fosse esattamente situata, non si sa. Così è anche Castel di Tora: esiste, ma ha cambiato nome; davanti al “castel vecchio”, con la sua torre che dal medioevo sorveglia l’abitato, è stato creato un lago nuovo.

E le vecchie case in pietra che si specchiano nelle acque azzurre - troppo azzurre per essere vere - stanno strette le une alle altre come per darsi coraggio: il coraggio di rinascere, forse, dalle ceneri sabine, dalle oscurità medievali, dagli antichi ritmi della civiltà pastorale.

E l’esempio della rinascita è il più vicino che si possa trovare: nel borgo fantasma di Antuni, compagno di castelli. Qui, nel palazzo del Drago, tirato su dalle macerie in cui era ridotto, un prete coraggioso ha fondato una comunità di recupero di tossicodipendenti: solo il primo passo di un’uscita dalle tenebre, perché il palazzo diventerà un centro culturale e professionale, e con esso risorgerà l’intero borgo. Che tra le aquile del monte Navegna si nasconda l’araba fenice?

La memoria degli uomini

Si aggrappano, i ricordi, alla mitica Civitate de Thora, dove nel tardo Impero (251) venne martirizzata Anatolia, santa e protettrice del paese.

Nelle grotte e nei boschi d’intorno, vuole la tradizione, vivevano monaci, eremiti, asceti che, tra le forre dei torrenti e le ginestre, pensavano a come imbrigliare il mondo nell’ombra quieta di un castagno secolare.

La religiosità di cui sono permeati questi luoghi, dove tante persone si sono votate alla vita spirituale e altre, oggi, proseguono nell’attività umanitaria, fa di Castel di Tora una comunità radicata di profondi valori conservati intatti nel tempo.

Panorami tra i più belli del Lazio nel profumo delle ginestre e del timo

Panorami tra i più belli del Lazio nel profumo delle ginestre e del timo Castel di Tora si allunga sulle rive del lago artificiale del Turano, circondato da una corona di fitti boschi sui quali domina il Monte Navegna (1506 m.). Dalla cima, nei giorni limpidi di tramontana, si può ammirare ad occhio nudo la cupola della Basilica di S. Pietro in Roma. Nel borgo, edifici in pietra locale a vista con coperture in legno e manto in coppi di laterizio, rivelano tipologie tipiche dell’architettura rurale in un contesto di antropizzazione medievale.
Risale all’XI secolo la torre poligonale della fortezza, costruita su una roccia a strapiombo, mentre sono di epoca più tarda (XV secolo) le torrette di via Turano e di via Cenci (incorporata, questa, in un’abitazione) che costituiscono i resti dell’antica cinta muraria. Il palazzo del Drago e l’intero borgo di Antuni - nella piccola penisola che,
collegata da un istmo, si protende nel lago - datano XV e XVI secolo. Qui si trova anche, su una parete a picco sul lago, l’eremo di S. Salvatore.

Tornando sulla “terraferma”, sono da vedere la chiesa di epoca barocca di S. Giovanni Evangelista (con affreschi del ’500 e un campanile dove crescono la violacciocca e la mentuccia – completamente restaurati negli anni 2004-2005), e il settecentesco palazzo adiacente alla torre poligonale. Del 1898 è la fontana del Tritone nella piazza principale. Il tessuto urbanistico del centro storico è rimasto pressoché invariato fino alla prima metà del Novecento.

Ancora sono visibili in via Umberto I tronconi di colonne romane e fregi e iscrizioni latine sui muri perimetrali della chiesa. Ma ora bisogna correre ai ripari - come sta facendo l’amministrazione - per salvaguardare i portali antichi, le caratteristiche viuzze con archi, scalinate, passaggi, e le grotte e le cantine scavate nella roccia. Forni e terrazze, panni stesi, comari vestite di nero, una piazzetta-belvedere che è un incanto, il luccichio delle acque del lago mosse dalla brezza: questo è il paesaggio da fiaba che i remoti pastori di Thora ci hanno consegnato.

E per chi volesse concludere la visita con un’immersione mistica (per quella mondana, c’è il lago), magari arricchita dall’iconostasi, c’è il convento di Santa Anatolia, un tempo residenza estiva del Pontificio Collegio greco-ortodosso, con la bella chiesa citata già nel 1153 in una bolla papale.

Punti panoramici, del Borgo e del Lago del Turano, da non perdere:

Monte Antuni, Monte Navegna, Monte Cervia, Mirandella, Ascrea, Paganico Sabino, Punta di Colle di Tora, strada panoramica Collacchiani - Poggio Moiano.

Il prodotto del borgo

Si coltivano solo qui, negli agriturismi, i “fagioli a pisello”, particolari per sapore e consistenza. Questa, poi, è terra di grandi formaggi (pecorino e vaccino, e ricotta di pecora ottima per i ravioli) ma anche di cereali (mais, farro, orzo), tartufi, funghi porcini e pesce di lago.

Il piatto del borgo

Sono due i piatti, re delle feste locali: il polentone (prima domenica di Quaresima), cotto con fuoco in un calderone e condito con sugo magro di baccalà, aringhe, tonno e alici; e gli strigliozzi (prima domenica di ottobre), sorta di maccheroni fatti a mano.